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venerdì 24 aprile 2015

la Biennale di Venezia 56. Esposizione Internazionale d’Arte - Intervento di Paolo Baratta




La 56. Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia si aprirà il 9 maggio con un mese di anticipo rispetto alle ultime edizioni. Con essa celebriamo il 120mo anno dalla prima Esposizione (1895). 

La Mostra Internazionale del curatore si estenderà nel Palazzo delle Esposizioni ai Giardini (3.000 mq) e nell’Arsenale (8.000 mq) e in aggiunta le aree esterne. 

Virtualmente intorno alla grande Mostra Internazionale del nostro curatore ruota la grande adunata delle partecipazioni straniere (89, erano 58 nel 1997), 29 delle quali negli storici padiglioni dei Giardini, 29 negli spazi dell'Arsenale dedicati ai paesi (dove continuano nuovi lavori di restauro di edifici cinquecenteschi) e il resto in edifici veneziani, dove saranno anche allestiti 44 Eventi Collaterali, presentati da soggetti non profit e ammesse dal nostro curatore. 



Le pagine inserite nella cartella stampa danno molte utili ulteriori informazioni. 

Esse contengono anche i ringraziamenti calorosi espressi oltre che al nostro partner Swatch, a varie istituzioni pubbliche, agli sponsor e alla miriade di energie applicate con grande dedizione alla realizzazione della mostra e alla sua gestione nei 6 mesi e mezzo, fino al 22 novembre. In particolare i nostri ringraziamenti vanno a Okwui, ai suoi assistenti e a tutte le grandi professionalità della Biennale. 



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Ciò detto, permettetemi due parole di introduzione a questa Mostra, vista dall'interno della Biennale. 


Siamo alla 56ma edizione, la Biennale che compie 120 anni procede e, anno dopo anno, continua a costruire anche la propria storia, che è fatta di molti ricordi, ma in particolare di un lungo susseguirsi di diversi punti di osservazione del fenomeno della creazione artistica nel contemporaneo. 


Per limitarci alle ultime due: 

Bice Curiger ci portò il tema della percezione, dell'ILLUMInation, della luce come elemento autonomo e vivificatore, nonché quello del rapporto tra artista e viewer, focalizzandosi su un concetto artistico che enfatizza la conoscenza intutitiva e il pensiero illuminato, quali mezzi per affinare e accrescere le nostra capacità di percezione e quindi le nostre capacità di dialogo con l'arte. 


Massimiliano Gioni fu interessato a osservare il fenomeno della creazione artistica dall'interno, e rivolse l'attenzione alle forze interiori che spingono l'uomo e l'artista a creare immagini e a dar vita a rappresentazioni, necessarie per sé e per colloquiare con gli altri, e indagò sulle utopie e sulle ansie che conducono l'uomo all’imprescindibile necessità di creare. La mostra si apriva con l'immagine di un utopico Palazzo Enciclopedico e con il Libro Rosso di Jung. 



Oggi il mondo ci appare attraversato da gravi fratture e lacerazioni, da forti asimmetrie e da incertezze sulle prospettive. Nonostante i colossali progressi nelle conoscenze e nelle tecnologie viviamo una sorta di "age of anxiety". E la Biennale torna a osservare il rapporto tra l'arte e lo sviluppo della realtà umana, sociale, politica, nell'incalzare delle forze e dei fenomeni esterni. 

Si vuol quindi indagare in che modo le tensioni del mondo esterno sollecitano le sensibilità, le energie vitali ed espressive degli artisti, i loro desideri, i loro moti dell'animo (il loro inner song). La Biennale ha chiamato Okwui Enwezor anche per la sua particolare sensibilità a questi aspetti. 


Curiger, Gioni, Enwezor, quasi una trilogia: tre capitoli di una ricerca della Biennale di Venezia sui 
riferimenti utili per formulare giudizi estetici sull'arte contemporanea, questione "critica" dopo la 
fine delle avanguardie e dell'arte "non arte". 


E Okwui non pretende di dare giudizi o esprimere una predizione, ma vuole convocare le arti e gli artisti da tutte le parti del mondo e da diverse discipline: un Parlamento delle Forme. 

Una mostra globale dove noi possiamo interrogare, o quanto meno ascoltare gli artisti. 

Sono stati chiamati 136 artisti dei quali 89 presenti per la prima volta, provenienti da 53 paesi, e molti da varie aree geografiche che ci ostiniamo a chiamare periferiche. Delle opere esposte, 159 sono nuovi lavori. Tutto questo ci aiuterà anche ad aggiornarci sulla geografia e sui percorsi degli artisti di oggi, materia questa che sarà oggetto di un progetto speciale: quello relativo ai Curricula degli artisti operanti nel mondo. 


Un Parlamento dunque per una Biennale di varia e intensa vitalità. 

Sappiamo che evocare i fenomeni anche drammatici che caratterizzano il tempo presente vuol dire far entrare la storia. Il presente vuol essere compreso attraverso i segni, i simboli, i ricordi che la storia ci consegna e dai quali traiamo qualche disperazione, ma anche illuminazioni. Significa anche richiamare i frammenti del nostro passato, anche remoto, che non possono essere dimenticati. 


Certamente la Biennale offre un palcoscenico particolare per questa rappresentazione. Quello che si espone qui ha come fondale 120 anni di storia delle arti, i cui frammenti sono in ogni angolo e di varia natura, visto che la Biennale opera nell'Arte, nell'Architettura, nella Danza, nel Teatro, nella Musica e nel Cinema; essi sono presenti nel suo Archivio Storico, nelle immagini là custodite, nei suoi cataloghi, nei suoi edifici. Anche i padiglioni dei paesi, costruiti in varie epoche e grazie a iniziative differenti, proprio per questo creano un luogo ben diverso da quello di una expo tradizionale. È il luogo delle "immagini dialettiche" per usare l'espressione di Walter Benjamin. 


E a proposito di Benjamin, Okwui nel suo programma ricorda le parole con cui si espresse sull'«Angelus Novus» di Paul Klee.”. Ricordate? "... Ha il volto rivolto al passato; dove a noi appare una serie di eventi, vede una sola catastrofe. […] Vorrebbe fermarsi e ridestare i morti, […] ma una tempesta gli penetra nelle ali […] e lo sospinge irresistibilmente nel futuro". 


Non posso fare a meno di trasferire per un solo istante questa immagine a noi e vedere nell’espressione dell'angelo di Klee, quella di chi entra nella Biennale e osserva sorpreso e spaventato tutti i resti del passato depositati in questo luogo dove memoria, tempo e spazio si congiungono. Mi consola per contro il fatto che qui ogni due anni si rivela una nuova tempesta di energia che soffia "spingendo le sue ali verso il futuro". 


E sono ancora una volta lieto di non aver ascoltato le tristi considerazioni di chi nel 1998 mi diceva che la mostra con padiglioni stranieri era outmoded e che andava eliminata, magari mettendo al suo posto un cubo bianco, uno spazio asettico nel quale cancellare la storia, esercitare la nostra astratta presunzione, o dare ospitalità alla dittatura del mercato. 


Proprio la nostra articolata e complessa realtà ci aiuta a evitare questi pericoli. 


La grande montagna dei frammenti della nostra storia cresce ogni anno. A fronte sta la ancor maggiore montagna di quel che non fu mostrato nelle Biennali del passato. 


A questo proposito sentiamo spesso citare Aby Warburg e i suoi esercizi di comprensione. Per comprendere meglio un’opera la si affianca e la si circonda di molte altre che hanno con essa un qualche legame. Mnemosyne era il nome da lui utilizzato per questo esercizio: Mnemosyne, la dea della memoria (ebbene possiamo dire che la Biennale è una delle residenze preferite di Mnemosyne). 


In ogni Biennale la presenza a fianco del nostro curatore delle diverse voci dei curatori nei diversi padiglioni concorre a realizzare un valore importante, il pluralismo di voci. 

"Parliament of Forms". Nulla più di un parlamento deve prevedere pluralità di voci. 

Sia nelle Biennali più intimiste, sia in quelle più drammaturgicamente coinvolgenti la storia, è importante che la Mostra sia sempre vissuta come luogo di libero dialogo. 


Paolo Baratta, Presidente della Biennale di Venezia 




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